Articolo pubblicato su: http://www.decrescita.com/news/?p=1640
Lettera sulla decrescita - 13/02/2012
Cari amici della Decrescita, mi rivolgo a voi come essere vivente sulla terra. Vorrei condividere con tutti alcune riflessioni perché credo che, se non riusciremo a concentrare l’attenzione su alcuni meccanismi che regolano le nostre vite e l’esistenza su questo pianeta, non potremo trovare una via in grado di salvarci da una eventuale distruzione.
Sono d’accordo su moltissimi punti toccati dal nostro fratello di vita Serge Latouche nei suoi libri ma credo che non sia stato sottolineato abbastanza il ruolo centrale di due caratteristiche che collegano tutta la nostra esistenza. Come già voi sapete bene, viviamo in un mondo finito, con risorse limitate e quindi non possiamo assolutamente continuare a camminare sulla via che abbiamo intrapreso. Non servono studi scientifici per capire che insistere a depredare e inquinare il luogo che ci ospita, equivale a togliere le possibilità per il futuro di avere a disposizione il necessario per vivere. Ecco quindi che per pensare assieme a come comportarci guardando con una certa lungimiranza al domani, dovremmo tenere a mente alcune questioni fondamentali: viviamo sulla terra e quindi siamo tutti soggetti a delle regole che il mondo nel suo funzionamento ci impone.
«Tutto è collegato» e quello che facciamo al pianeta avrà degli effetti sul nostro vivere.
Quando utilizziamo processi, tecniche e lavorazioni che non si accordano con la natura siamo di fronte all’allargamento degli effetti di quello che facciamo e delle nostre potenzialità distruttive. Sono invece le nostre caratteristiche di esseri umani e della natura che ci ospita ad insegnarci ciò che si accorda con noi e l’ambiente che ci circonda.
L’altra questione su cui vi chiedo di concentrarvi è la complessità, sia del mondo che di noi esseri viventi. Se teniamo presenti anche solamente queste due condizioni che ci accomunano – nessuno escluso – avremo già capito sia le cause che le conseguenze di quello che stiamo vivendo oggi. Credo che non ci si sia concentrati abbastanza su questi punti fondamentali continuando ad alimentare quindi una fede nella tecnologia che potrà salvarci dagli errori che abbiamo commesso e dal gettarci nuovamente in balia dei nostri stessi limiti. L’unico riparo che abbiamo per non distruggere ancora la terra è la natura e tutto quello che funziona seguendone le regole. I popoli che per centinaia d’anni hanno vissuto (e sono morti) secondo queste leggi non scritte sono per noi esempio, la natura stessa è nostra maestra. Perché mi piacerebbe che si puntasse l’attenzione su questo punto centrale? Perché quando agiamo al di fuori di quei meccanismi a cui tutti siamo sottoposti ci troviamo in balia di una complessità di conseguenze che non sappiamo gestire e che sfuggono totalmente al nostro bassissimo e quasi inesistente controllo.
Nessuno di noi può dire di poter gestire un mondo intero anche perché solamente per tentare di portare avanti una iniziativa simile, si continuerebbero ad utilizzare gli strumenti che ci hanno messo nella condizione in cui ci troviamo oggi e che sono la fonte di tutte le distruzioni di cui ormai quotidianamente abbiamo notizia.
Questo è uno dei punti che non possiamo dimenticare. Serge nei suoi libri tocca diverse tematiche con cui mi trova d’accordo ma che, se non viste da una certa angolazione, potrebbero rischiare di portarci nuovamente fuori strada. Va benissimo restare sul locale, assolutamente perfetto tornare a ricreare le comunità e a ricostruire quindi i legami perduti e le culture “vicine” come fonte di vita ma tutto questo dovrebbe essere dovuto al fatto che siamo esseri viventi sulla terra e, se non ci affidiamo alle sue regole, ci perdiamo nell’immensa complessità delle conseguenze che si generano e che non siamo lontanamente in grado di concepire o tanto meno di coordinare tra loro.
La prima fonte di complessità è il luogo in cui viviamo. Questo tipo di complessità è quella che possiamo sopportare perché non è affidata alle nostre mani. La terra funziona bene quando i suoi meccanismi sono lasciati andare avanti senza gli stravolgimenti che le infliggiamo. Invece qual’è l’errore più grave che noi esseri viventi abbiamo commesso? Abbiamo creduto di poter controllare e comandare a nostro piacimento la vita su questo pianeta. In realtà, nessuno di noi esseri umani è in grado di concepire tutte le conseguenze del suo operato, soprattutto quando si utilizzano tecnologie che non sono conformi a quello che già c’è sulla sfera terrestre. Nel suo libro “La megamacchina” Serge Latouche dedica un capitolo importantissimo proprio all’aumento dei problemi dovuti al progresso tecnico. Quando si arriva alle “condizioni e ragioni della impossibilità di previsione” si tocca il punto centrale della complessità e della nostra incapacità di poterla controllare: “C’è una sproporzione fantastica tra la finitezza delle nostre capacità e la dismisura dei contesti che i responsabili e i cittadini dovrebbero poter assumere quotidianamente”.
Vediamo quindi che quando agiamo al di fuori delle regole della terra, creiamo i requisiti per la sua distruzione che prima non erano possibili. Non si tratta di essere dei tecnofobi ma solamente di constatare che i mezzi di cui abbiamo sopra accennato, sono quelli che consentono e creano non solo lo squilibrio e le situazioni che permettono l’avviamento e la prosecuzione del processo di distruzione, ma anche l’aumento di complessità ingestibile.
Tra le altre cose, non dimentichiamoci che, anche se volessimo e riuscissimo a vivere in un mondo da noi totalmente regolato (pena la mancanza di risorse per tutti), sarebbe difficile far accettare agli esseri umani tanta responsabilità comune e una vita simile a quella delle api dove ognuno è, per forza di cose, limitato nell’agire su dei binari artificialmente (e non naturalmente) imposti.
Ecco che se teniamo conto della nostra naturale incapacità di tenere a bada la complessità, date le nostre stesse caratteristiche fisiche, capiamo anche che “..è ragionevole scommettere sulla incapacità dell’organizzazione sociale di assumersi il compito di realizzare il migliore dei mondi, di spingerlo al limite e anche di farlo funzionare”. Più che “ragionevole scommettere” si potrebbe dire che è naturale ammettere questa situazione viste le nostre capacità innegabilmente limitate di poter gestire e controllare la complessità.
Perché tutto questo? Perché il pianeta funziona già nel modo in cui è stato creato e allontanarcene è solo l’ennesima illusione. Sempre dallo stesso libro troviamo che:”La scienza e la tecnica non sono delle figure del Male, ma l’arroganza che minaccia lo scienziato occidentale, la sete illimitata di ricchezza e la volontà sfrenata di potenza che motivano gli sponsors e i committenti e che colonizzano la tecnoscienza sono i demoni di oggi e la fonte di tutti i pericoli”. Credo che questa riflessione possa essere nuovamente fuorviante: la scienza e la tecnica, almeno per come sono oggi concepite, sono (con alcune distinzioni che non è il caso di ricordare qui) il risultato di un agire al di fuori delle regole della natura, quella natura che Serge Latouche giustamente ricorda che é e basta. Allo stesso modo tutti i nostri discorsi e le nostre teorie sul mondo rischiano di portarci nella stessa direzione seguita fino ad oggi se non ci ricordiamo che il pianeta che ci ospita è e basta e che noi siamo esseri viventi su di esso per cui dobbiamo rispettarne il funzionamento, anche a scapito delle fatiche e dei pericoli che tutto ciò comporta. Mi meravigliano le considerazioni finali del libro in cui si dice che: “..in teoria è possibile prevenire la maggior parte delle catastrofi e limitare i guasti mediante una prevenzione giudiziosa o una gestione intelligente degli incidenti”, e ancora che “Resta il fatto che tutto ciò presuppone istituzioni solide e un quadro stabile; in breve un ordine sociale nazionale e internazionale ben saldo con una società civile forte”. Mi stupiscono veramente queste considerazioni perché deviano dalla premesse toccate nel resto dei trattati del libro.
Se abbiamo capito che non siamo in grado di prevedere quello che accadrà quando utilizziamo i mezzi della scienza e della tecnica che ci portano lontani dalla natura e da noi stessi lasciandoci in balia di infinite conseguenze a cascata che sono indefinibili e incalcolabili, come potremmo ottenere un ordine sociale nazionale e addirittura internazionale se per raggiungerli e mantenerli dovremo alimentare quello stesso sistema che ci porta alla distruzione? Tanto per fare un esempio, riuscirebbero degli esseri umani a spostarsi abbastanza velocemente da un luogo all’altro del pianeta facendo conto solamente sulle proprie doti oppure mediante gli animali, per coordinare un qualcosa che è al di sopra delle loro capacità? La risposta è no: dovremmo altrimenti utilizzare ancora gli stessi mezzi che ci hanno portato dove siamo. Ricordiamoci che, quando per esempio si parla di megamacchina o di altri concetti, siamo sempre di fronte non alla realtà ma a modi di considerare il mondo che ci circonda. Tutti quei discorsi che ci allontanano dal capire le caratteristiche della natura in cui siamo immersi e i nostri precisi limiti, penso che ci portino ad aumentare ancora la confusione e l’incapacità di rapportarci al “tutto” che ci circonda. Quello che invece, ancora una volta, torna prepotentemente alla ribalda e che dovrebbe farci tornare con i piedi sulla terra, non sono le teorie sui modi di vivere che abbiamo costruito ma il fatto che viviamo su un pianeta che funziona seguendo precise leggi a cui tutti siamo sottoposti, che lo vogliamo oppure no. La complessità del mondo e la nostra incapacità di gestirla non possono far altro che aiutarci a capire che non dovremmo avere la superbia di considerarci padroni di nulla, nemmeno della nostra vita che è in mano (per chi è credente) a Chi ce l’ha donata.
Uno dei problemi enormi che abbiamo messo in campo sono poi il grave problema etico che noi stessi abbiamo creato: rinunceremmo alle tecnologie che inquinano o distruggono il pianeta se servono a salvare la vita di qualcuno ma che utilizzano processi che danneggiano il pianeta e quindi la vita delle generazioni future? In questo caso ci troviamo di fronte ad un punto cruciale. Mentre dalla notte dei tempi era il nostro patrimonio genetico e diversi fattori ambientali a decidere quanto sarebbe durata la nostra esistenza, oggi abbiamo messo in campo una serie di soluzioni che ci preservano dai pericoli. Con quali conseguenze? Lascio a voi la riflessione tenendo conto che torniamo al punto di partenza: tutto è collegato.
Consiglio vivamente di leggere, per completare la riflessione, il discorso di Russell Means, tenuto nel 1980 in occasione del Black Hills International Survival Gathering nel sud Dakota, dal titolo: “Perché l’America viva l’Europa deve morire”. Non è un invito allo scontro tra “nazioni”, ve lo anticipo. Il discorso di Russell Means lo trovate in lingua inglese riportato sul suo sito www.russellmeans.com nella sezione “speeches” oppure in italiano sul libro “Il cerchio senza fine”, di Enzo Braschi.
Di questo discorso non condivido alcune cose ma penso sia uno spunto molto interessante per tentare di capire qualcuno che vede la nostra culturacon occhi diversi. Russell Means incentra la sua riflessione basandosi sul sapere che gli arriva dal suo popolo. Quello che con questa piccola riflessione ho cercato di fare, è di mettere di fronte agli occhi di tutti gli esseri umani, quali sono le caratteristiche fisiche a cui nessuno può sfuggire e che per forza dovremmo ammettere di non poter superare. La complessità che non sappiamo gestire e, il fatto che su questa terra la nostra vita è collegata e interconnessa con tutto quello che vi accade, dovrebbero innanzitutto farci aprire gli occhi su quello che stiamo facendo e sugli ulteriori possibili inganni derivanti dal voler fare andare la terra come vogliamo noi e non come essa stessa è stata “progettata”.
Un abbraccio.
Elia Frigo – Un essere vivente sulla terra.
Le citazioni riportate si riferiscono al libro “La megamacchina” di Serge Latouche.
(Fonte immagine: http://pegasoviaggi.files.wordpress.com/2011/11/foresta20amazzonica_46333.jpg)
Sono d’accordo su moltissimi punti toccati dal nostro fratello di vita Serge Latouche nei suoi libri ma credo che non sia stato sottolineato abbastanza il ruolo centrale di due caratteristiche che collegano tutta la nostra esistenza. Come già voi sapete bene, viviamo in un mondo finito, con risorse limitate e quindi non possiamo assolutamente continuare a camminare sulla via che abbiamo intrapreso. Non servono studi scientifici per capire che insistere a depredare e inquinare il luogo che ci ospita, equivale a togliere le possibilità per il futuro di avere a disposizione il necessario per vivere. Ecco quindi che per pensare assieme a come comportarci guardando con una certa lungimiranza al domani, dovremmo tenere a mente alcune questioni fondamentali: viviamo sulla terra e quindi siamo tutti soggetti a delle regole che il mondo nel suo funzionamento ci impone.
«Tutto è collegato» e quello che facciamo al pianeta avrà degli effetti sul nostro vivere.
Quando utilizziamo processi, tecniche e lavorazioni che non si accordano con la natura siamo di fronte all’allargamento degli effetti di quello che facciamo e delle nostre potenzialità distruttive. Sono invece le nostre caratteristiche di esseri umani e della natura che ci ospita ad insegnarci ciò che si accorda con noi e l’ambiente che ci circonda.
L’altra questione su cui vi chiedo di concentrarvi è la complessità, sia del mondo che di noi esseri viventi. Se teniamo presenti anche solamente queste due condizioni che ci accomunano – nessuno escluso – avremo già capito sia le cause che le conseguenze di quello che stiamo vivendo oggi. Credo che non ci si sia concentrati abbastanza su questi punti fondamentali continuando ad alimentare quindi una fede nella tecnologia che potrà salvarci dagli errori che abbiamo commesso e dal gettarci nuovamente in balia dei nostri stessi limiti. L’unico riparo che abbiamo per non distruggere ancora la terra è la natura e tutto quello che funziona seguendone le regole. I popoli che per centinaia d’anni hanno vissuto (e sono morti) secondo queste leggi non scritte sono per noi esempio, la natura stessa è nostra maestra. Perché mi piacerebbe che si puntasse l’attenzione su questo punto centrale? Perché quando agiamo al di fuori di quei meccanismi a cui tutti siamo sottoposti ci troviamo in balia di una complessità di conseguenze che non sappiamo gestire e che sfuggono totalmente al nostro bassissimo e quasi inesistente controllo.
Nessuno di noi può dire di poter gestire un mondo intero anche perché solamente per tentare di portare avanti una iniziativa simile, si continuerebbero ad utilizzare gli strumenti che ci hanno messo nella condizione in cui ci troviamo oggi e che sono la fonte di tutte le distruzioni di cui ormai quotidianamente abbiamo notizia.
Questo è uno dei punti che non possiamo dimenticare. Serge nei suoi libri tocca diverse tematiche con cui mi trova d’accordo ma che, se non viste da una certa angolazione, potrebbero rischiare di portarci nuovamente fuori strada. Va benissimo restare sul locale, assolutamente perfetto tornare a ricreare le comunità e a ricostruire quindi i legami perduti e le culture “vicine” come fonte di vita ma tutto questo dovrebbe essere dovuto al fatto che siamo esseri viventi sulla terra e, se non ci affidiamo alle sue regole, ci perdiamo nell’immensa complessità delle conseguenze che si generano e che non siamo lontanamente in grado di concepire o tanto meno di coordinare tra loro.
La prima fonte di complessità è il luogo in cui viviamo. Questo tipo di complessità è quella che possiamo sopportare perché non è affidata alle nostre mani. La terra funziona bene quando i suoi meccanismi sono lasciati andare avanti senza gli stravolgimenti che le infliggiamo. Invece qual’è l’errore più grave che noi esseri viventi abbiamo commesso? Abbiamo creduto di poter controllare e comandare a nostro piacimento la vita su questo pianeta. In realtà, nessuno di noi esseri umani è in grado di concepire tutte le conseguenze del suo operato, soprattutto quando si utilizzano tecnologie che non sono conformi a quello che già c’è sulla sfera terrestre. Nel suo libro “La megamacchina” Serge Latouche dedica un capitolo importantissimo proprio all’aumento dei problemi dovuti al progresso tecnico. Quando si arriva alle “condizioni e ragioni della impossibilità di previsione” si tocca il punto centrale della complessità e della nostra incapacità di poterla controllare: “C’è una sproporzione fantastica tra la finitezza delle nostre capacità e la dismisura dei contesti che i responsabili e i cittadini dovrebbero poter assumere quotidianamente”.
Vediamo quindi che quando agiamo al di fuori delle regole della terra, creiamo i requisiti per la sua distruzione che prima non erano possibili. Non si tratta di essere dei tecnofobi ma solamente di constatare che i mezzi di cui abbiamo sopra accennato, sono quelli che consentono e creano non solo lo squilibrio e le situazioni che permettono l’avviamento e la prosecuzione del processo di distruzione, ma anche l’aumento di complessità ingestibile.
Tra le altre cose, non dimentichiamoci che, anche se volessimo e riuscissimo a vivere in un mondo da noi totalmente regolato (pena la mancanza di risorse per tutti), sarebbe difficile far accettare agli esseri umani tanta responsabilità comune e una vita simile a quella delle api dove ognuno è, per forza di cose, limitato nell’agire su dei binari artificialmente (e non naturalmente) imposti.
Ecco che se teniamo conto della nostra naturale incapacità di tenere a bada la complessità, date le nostre stesse caratteristiche fisiche, capiamo anche che “..è ragionevole scommettere sulla incapacità dell’organizzazione sociale di assumersi il compito di realizzare il migliore dei mondi, di spingerlo al limite e anche di farlo funzionare”. Più che “ragionevole scommettere” si potrebbe dire che è naturale ammettere questa situazione viste le nostre capacità innegabilmente limitate di poter gestire e controllare la complessità.
Perché tutto questo? Perché il pianeta funziona già nel modo in cui è stato creato e allontanarcene è solo l’ennesima illusione. Sempre dallo stesso libro troviamo che:”La scienza e la tecnica non sono delle figure del Male, ma l’arroganza che minaccia lo scienziato occidentale, la sete illimitata di ricchezza e la volontà sfrenata di potenza che motivano gli sponsors e i committenti e che colonizzano la tecnoscienza sono i demoni di oggi e la fonte di tutti i pericoli”. Credo che questa riflessione possa essere nuovamente fuorviante: la scienza e la tecnica, almeno per come sono oggi concepite, sono (con alcune distinzioni che non è il caso di ricordare qui) il risultato di un agire al di fuori delle regole della natura, quella natura che Serge Latouche giustamente ricorda che é e basta. Allo stesso modo tutti i nostri discorsi e le nostre teorie sul mondo rischiano di portarci nella stessa direzione seguita fino ad oggi se non ci ricordiamo che il pianeta che ci ospita è e basta e che noi siamo esseri viventi su di esso per cui dobbiamo rispettarne il funzionamento, anche a scapito delle fatiche e dei pericoli che tutto ciò comporta. Mi meravigliano le considerazioni finali del libro in cui si dice che: “..in teoria è possibile prevenire la maggior parte delle catastrofi e limitare i guasti mediante una prevenzione giudiziosa o una gestione intelligente degli incidenti”, e ancora che “Resta il fatto che tutto ciò presuppone istituzioni solide e un quadro stabile; in breve un ordine sociale nazionale e internazionale ben saldo con una società civile forte”. Mi stupiscono veramente queste considerazioni perché deviano dalla premesse toccate nel resto dei trattati del libro.
Se abbiamo capito che non siamo in grado di prevedere quello che accadrà quando utilizziamo i mezzi della scienza e della tecnica che ci portano lontani dalla natura e da noi stessi lasciandoci in balia di infinite conseguenze a cascata che sono indefinibili e incalcolabili, come potremmo ottenere un ordine sociale nazionale e addirittura internazionale se per raggiungerli e mantenerli dovremo alimentare quello stesso sistema che ci porta alla distruzione? Tanto per fare un esempio, riuscirebbero degli esseri umani a spostarsi abbastanza velocemente da un luogo all’altro del pianeta facendo conto solamente sulle proprie doti oppure mediante gli animali, per coordinare un qualcosa che è al di sopra delle loro capacità? La risposta è no: dovremmo altrimenti utilizzare ancora gli stessi mezzi che ci hanno portato dove siamo. Ricordiamoci che, quando per esempio si parla di megamacchina o di altri concetti, siamo sempre di fronte non alla realtà ma a modi di considerare il mondo che ci circonda. Tutti quei discorsi che ci allontanano dal capire le caratteristiche della natura in cui siamo immersi e i nostri precisi limiti, penso che ci portino ad aumentare ancora la confusione e l’incapacità di rapportarci al “tutto” che ci circonda. Quello che invece, ancora una volta, torna prepotentemente alla ribalda e che dovrebbe farci tornare con i piedi sulla terra, non sono le teorie sui modi di vivere che abbiamo costruito ma il fatto che viviamo su un pianeta che funziona seguendo precise leggi a cui tutti siamo sottoposti, che lo vogliamo oppure no. La complessità del mondo e la nostra incapacità di gestirla non possono far altro che aiutarci a capire che non dovremmo avere la superbia di considerarci padroni di nulla, nemmeno della nostra vita che è in mano (per chi è credente) a Chi ce l’ha donata.
Uno dei problemi enormi che abbiamo messo in campo sono poi il grave problema etico che noi stessi abbiamo creato: rinunceremmo alle tecnologie che inquinano o distruggono il pianeta se servono a salvare la vita di qualcuno ma che utilizzano processi che danneggiano il pianeta e quindi la vita delle generazioni future? In questo caso ci troviamo di fronte ad un punto cruciale. Mentre dalla notte dei tempi era il nostro patrimonio genetico e diversi fattori ambientali a decidere quanto sarebbe durata la nostra esistenza, oggi abbiamo messo in campo una serie di soluzioni che ci preservano dai pericoli. Con quali conseguenze? Lascio a voi la riflessione tenendo conto che torniamo al punto di partenza: tutto è collegato.
Consiglio vivamente di leggere, per completare la riflessione, il discorso di Russell Means, tenuto nel 1980 in occasione del Black Hills International Survival Gathering nel sud Dakota, dal titolo: “Perché l’America viva l’Europa deve morire”. Non è un invito allo scontro tra “nazioni”, ve lo anticipo. Il discorso di Russell Means lo trovate in lingua inglese riportato sul suo sito www.russellmeans.com nella sezione “speeches” oppure in italiano sul libro “Il cerchio senza fine”, di Enzo Braschi.
Di questo discorso non condivido alcune cose ma penso sia uno spunto molto interessante per tentare di capire qualcuno che vede la nostra culturacon occhi diversi. Russell Means incentra la sua riflessione basandosi sul sapere che gli arriva dal suo popolo. Quello che con questa piccola riflessione ho cercato di fare, è di mettere di fronte agli occhi di tutti gli esseri umani, quali sono le caratteristiche fisiche a cui nessuno può sfuggire e che per forza dovremmo ammettere di non poter superare. La complessità che non sappiamo gestire e, il fatto che su questa terra la nostra vita è collegata e interconnessa con tutto quello che vi accade, dovrebbero innanzitutto farci aprire gli occhi su quello che stiamo facendo e sugli ulteriori possibili inganni derivanti dal voler fare andare la terra come vogliamo noi e non come essa stessa è stata “progettata”.
Un abbraccio.
Elia Frigo – Un essere vivente sulla terra.
Le citazioni riportate si riferiscono al libro “La megamacchina” di Serge Latouche.
(Fonte immagine: http://pegasoviaggi.files.wordpress.com/2011/11/foresta20amazzonica_46333.jpg)
Il seguente articolo è stato inviato al sito www.decrescita.it il giorno 01 Febbraio 2012 e pubblicato sul blog.
Siamo esseri viventi sulla terra.
Cari amici della Decrescita, mi rivolgo a voi come essere vivente sulla terra. Vorrei condividere con tutti qualche riflessione perché credo che, se non riusciremo a concentrare l'attenzione su alcuni meccanismi che regolano le nostre vite e l'esistenza su questo pianeta, non potremo trovare una via per salvarci da una possibile distruzione.
Sono davvero interessanti lo scambio di opinioni tra i diversi teorici della decrescita e chi invece ne critica la visione sul mondo ma credo che ci si sia spinti più in avanti senza prima partire dalle basi che regolano la nostra vita. Se non saremo consapevoli dei meccanismi/caratteristiche fondamentali che ci hanno portato dove siamo, come potremo anche solo tentare di immaginare un futuro? Si rischierebbe altrimenti di commettere gli stessi errori del passato. Apro una piccolissima parentesi prima di entrare nel merito di quello che vorrei dire: tornare al passato o anche solamente dire che qualcuno vorrebbe una sorta di ritorno all'età della pietra non ha senso. Anche se abbandonassimo tutto quello che abbiamo costruito fino ad oggi c'è da tenere presente che la terra è cambiata e che anche le nostre esperienze si sono modificate. Per questo parlare di ritorno al passato non ha senso e quando si tira in ballo questa espressione ci si dimentica della realtà attorno a noi e del cammino che abbiamo già percorso sulla terra.
Sono d'accordo su molti punti toccati dal nostro fratello di vita Serge Latouche nei suoi libri ma credo che non sia stato sottolineato abbastanza il ruolo centrale di alcune caratteristiche che collegano tutta la nostra esistenza e dalle quali discendono tutte le problematiche che oggi dobbiamo affrontare. Si rischierebbe altrimenti di trarre nuovamente conclusioni che non tengono conto di come è fatta la terra e di come siamo noi esseri viventi che la popolano.
Come già voi sapete bene, viviamo in un mondo finito, con risorse limitate e quindi non possiamo assolutamente continuare a camminare sulla via che abbiamo intrapreso. Non servono studi scientifici per capire che insistere a depredare e inquinare il luogo che ci ospita, equivale a togliere le possibilità a chi verrà dopo di noi di avere a disposizione il necessario per vivere. Ecco quindi che per pensare assieme a come comportarci guardando con una certa lungimiranza al domani dovremmo tenere a mente alcune questioni fondamentali: viviamo sulla terra e quindi siamo tutti soggetti a delle regole che il mondo nel suo funzionamento ci impone. «Tutto è collegato» e quello che facciamo al pianeta avrà degli effetti sul nostro vivere.
Quando utilizziamo processi, tecniche e lavorazioni che non si accordano con la natura siamo di fronte all'allargamento degli effetti di quello che facciamo e delle nostre potenzialità.
Sono invece le caratteristiche - di noi esseri umani e della terra che ci ospita - che dovrebbero insegnarci ciò che si accorda con noi stessi e l'ambiente che ci circonda.
L'altra questione su cui vi chiedo di concentrarvi è la complessità, sia del mondo che di noi esseri viventi. Tutti noi esseri viventi siamo all'interno di un sistema che vive seguendo un'infinita serie di regole non scritte e che sono tra di loro connesse.
Infine: noi esseri umani non siamo assolutamente in grado di gestire la complessità e tanto meno di essere coscienti di tutte le conseguenze di quello che facciamo.
Se teniamo presenti anche solamente queste due condizioni che ci accomunano - nessuno escluso - avremo già capito le cause di quello che stiamo vivendo oggi.
Credo che non ci si sia concentrati abbastanza su questi punti fondamentali continuando ad alimentare quindi una fede nella tecnologia che possa salvarci dagli errori che abbiamo commesso e dal gettarci nuovamente in balia dei nostri stessi limiti. L'unico riparo che abbiamo per non distruggere ancora la terra è la natura e tutto quello che funziona seguendone le regole. I popoli che per centinaia d'anni hanno vissuto secondo queste leggi non scritte sono per noi esempio, la natura stessa è nostra maestra. Perché mi piacerebbe che si puntasse l'attenzione su questi punti centrali? Perché quando agiamo al di fuori di quei meccanismi a cui tutti siamo sottoposti ci troviamo in balia di una complessità di conseguenze che non sappiamo gestire e che sfuggono totalmente al nostro bassissimo e quasi inesistente controllo.
Nessuno di noi può dire di poter gestire un mondo intero anche perché solamente per tentare di portare avanti una iniziativa simile, si continuerebbero ad utilizzare gli strumenti che ci hanno messo nella condizione in cui ci troviamo oggi e che sono la fonte di tutte le distruzioni di cui ormai quotidianamente abbiamo notizia. La tecnologia che ci ha permesso di modificare la terra ad una velocità inaudita è la stessa che fa aumentare in modo esponenziale la nostra perdita di controllo e incapacità di tenerne a bada gli effetti a cascata.
Queste sono le cose che non dovremmo mai dimenticare. Serge nei suoi libri tocca diverse tematiche con cui mi trova d'accordo ma che, se non viste da una certa angolazione, potrebbero rischiare di portarci nuovamente fuori strada. Va benissimo restare sul locale, assolutamente perfetto tornare a ricreare le comunità e a ricostruire quindi i legami perduti e le culture "vicine" come fonte di vita ma tutto questo dovrebbe essere dovuto al fatto che siamo esseri viventi sulla terra e, se non ci affidiamo alle sue regole, ci perdiamo nell'immensa complessità delle conseguenze che si generano e che non siamo lontanamente in grado di concepire o tanto meno di coordinare tra loro.
La prima fonte di complessità è il luogo in cui viviamo. Questo tipo di complessità è quella che possiamo sopportare perché non è affidata alle nostre mani. La terra funziona bene quando i suoi meccanismi sono lasciati andare avanti senza gli stravolgimenti che le infliggiamo. Invece qual'è l'errore più grave che noi esseri viventi abbiamo commesso? Abbiamo creduto di poter controllare e comandare a nostro piacimento la vita su questo pianeta. In realtà, nessuno di noi esseri umani è in grado di concepire tutte le conseguenze del suo operato, soprattutto quando si utilizzano tecnologie che non sono conformi a quello che già c'è sulla sfera terrestre. Nel suo libro "La megamacchina" Serge Latouche dedica un capitolo importantissimo proprio all'aumento dei problemi dovuti al progresso tecnico. Quando si arriva alle "condizioni e ragioni della impossibilità di previsione" si tocca il punto centrale della complessità e della nostra incapacità di poterla controllare: "C'è una sproporzione fantastica tra la finitezza delle nostre capacità e la dismisura dei contesti che i responsabili e i cittadini dovrebbero poter assumere quotidianamente".
Vediamo quindi che quando agiamo al di fuori delle regole della terra, creiamo i requisiti per la sua distruzione che prima non erano possibili. Non si tratta di essere tecnofobi ma solamente di constatare che i mezzi di cui abbiamo sopra accennato, sono quelli che consentono e creano non solo lo squilibrio e le situazioni che permettono l'avviamento e la prosecuzione del processo di distruzione, ma anche l'aumento di complessità ingestibile.
Tra le altre cose, non dimentichiamoci che, anche se volessimo e riuscissimo a vivere in un mondo da noi totalmente regolato, sarebbe difficile far accettare agli esseri umani tanta responsabilità comune e una vita simile a quella delle api dove ognuno è, per forza di cose, limitato nell'agire su dei binari artificialmente (e non naturalmente) imposti.
Ecco che se teniamo conto della nostra innata incapacità di tenere a bada la complessità, date le nostre stesse caratteristiche fisiche, capiamo anche che "..è ragionevole scommettere sulla incapacità dell'organizzazione sociale di assumersi il compito di realizzare il migliore dei mondi, di spingerlo al limite e anche di farlo funzionare". Più che "ragionevole scommettere" si potrebbe dire che è naturale ammettere questa situazione viste le nostre capacità innegabilmente limitate di poter gestire e controllare la complessità.
Perché tutto questo? Perché il pianeta funziona già nel modo in cui è stato creato e allontanarcene è solo l'ennesima illusione. Continuiamo a cercare di costruire un mondo che funzioni secondo le nostre regole ma le cui basi fittizie appoggiano sul pianeta reale che è per così dire "progettato" diversamente. Sempre dallo stesso libro troviamo che:"La scienza e la tecnica non sono delle figure del Male, ma l'arroganza che minaccia lo scienziato occidentale, la sete illimitata di ricchezza e la volontà sfrenata di potenza che motivano gli sponsors e i committenti e che colonizzano la tecnoscienza sono i demoni di oggi e la fonte di tutti i pericoli". Credo che questa riflessione possa essere nuovamente fuorviante: la scienza e la tecnica, almeno per come sono oggi concepite, sono (con alcune distinzioni che non è il caso di ricordare qui) il risultato di un agire al di fuori delle regole della natura, quella natura che Serge Latouche giustamente ricorda che é e basta. Allo stesso modo tutti i nostri discorsi e le nostre teorie sul mondo rischiano di portarci nella stessa direzione seguita fino ad oggi se non ci ricordiamo che il pianeta che ci ospita è e basta e che noi siamo esseri viventi su di esso per cui dobbiamo rispettarne il funzionamento, anche a scapito delle fatiche e dei pericoli che tutto ciò comporta. Mi meravigliano le considerazioni finali del libro in cui si dice che: "..in teoria è possibile prevenire la maggior parte delle catastrofi e limitare i guasti mediante una prevenzione giudiziosa o una gestione intelligente degli incidenti", e ancora che "Resta il fatto che tutto ciò presuppone istituzioni solide e un quadro stabile; in breve un ordine sociale nazionale e internazionale ben saldo con una società civile forte". Mi stupiscono veramente queste considerazioni che sembrano deviare dalla premesse toccate quando si parla della complessità.
Se abbiamo capito che non siamo in grado di prevedere quello che accadrà quando utilizziamo i mezzi della scienza e della tecnica che ci portano lontani dalla natura e da noi stessi lasciandoci in balia di infinite conseguenze a cascata che sono indefinibili e incalcolabili, come potremmo ottenere un ordine sociale nazionale e addirittura internazionale se per raggiungerli e mantenerli dovremo alimentare quello stesso sistema che ci porta alla distruzione? Tanto per fare un esempio, riuscirebbero degli esseri umani a spostarsi abbastanza velocemente da un luogo all'altro del pianeta facendo conto solamente sulle proprie doti oppure mediante gli animali, per coordinare un qualcosa che è al di sopra delle loro capacità? La risposta è no: dovremmo altrimenti utilizzare ancora gli stessi mezzi che ci hanno portato dove siamo. Ricordiamoci che, quando per esempio si parla di megamacchina o di altri concetti, siamo sempre di fronte non alla realtà ma a modi di considerare il mondo che ci circonda. Tutti quei discorsi che ci allontanano dal capire le caratteristiche della natura in cui siamo immersi e i nostri precisi limiti, penso che ci portino ad aumentare ancora la confusione e l'incapacità di rapportarci al “tutto” che ci circonda. Quello che invece, ancora una volta, torna prepotentemente alla ribalta e che dovrebbe farci tornare con i piedi sulla terra, non sono le teorie sui modi di vivere che abbiamo costruito ma il fatto che viviamo su un pianeta che funziona seguendo leggi a cui tutti siamo sottoposti, che lo vogliamo oppure no. La complessità del mondo e la nostra incapacità di gestirla non possono far altro che aiutarci a capire che non dovremmo avere la superbia di considerarci padroni di nulla, nemmeno della nostra vita che è in mano (per chi è credente) a chi ce l'ha donata. Uno dei problemi enormi che abbiamo messo in campo sono poi il grave dilemma etico che noi stessi abbiamo creato: rinunceremmo alle tecnologie che inquinano o distruggono il pianeta e che oggi servono magari a salvare la vita di milioni di persone ma che contemporaneamente utilizzano processi che danneggiano il pianeta e quindi intaccano le possibilità esistenza delle generazioni future? In questo caso ci troviamo di fronte ad un tema cruciale. Mentre dalla notte dei tempi era il nostro patrimonio genetico e diversi fattori ambientali a decidere quanto sarebbe durata la nostra esistenza, oggi abbiamo messo in campo una serie di soluzioni che ci preservano dai pericoli creando però una molteplicità di effetti a cascata. Con quali conseguenze? Lascio a voi la riflessione tenendo conto che torniamo al punto di partenza: tutto è collegato. Ricordiamoci tra l'altro che già oggi possiamo vedere gli effetti collaterali sull'ambiente della tecnologia che utilizziamo e che costringono intere popolazioni a veri e propri esodi legati a cause ambientali.
Consiglio vivamente di leggere, per completare la riflessione, il discorso di Russell Means, tenuto nel 1980 in occasione del Black Hills International Survival Gathering nel sud Dakota, dal titolo: "Perché l'America viva l'Europa deve morire". Non è un invito allo scontro tra "nazioni", ve lo anticipo. Il discorso di Russell Means lo trovate in lingua inglese riportato sul suo sito www.russellmeans.com nella sezione "speeches" oppure in italiano sul libro "Il cerchio senza fine", di Enzo Braschi.
Un abbraccio.
Elia Frigo - Un essere vivente sulla terra.
Sono davvero interessanti lo scambio di opinioni tra i diversi teorici della decrescita e chi invece ne critica la visione sul mondo ma credo che ci si sia spinti più in avanti senza prima partire dalle basi che regolano la nostra vita. Se non saremo consapevoli dei meccanismi/caratteristiche fondamentali che ci hanno portato dove siamo, come potremo anche solo tentare di immaginare un futuro? Si rischierebbe altrimenti di commettere gli stessi errori del passato. Apro una piccolissima parentesi prima di entrare nel merito di quello che vorrei dire: tornare al passato o anche solamente dire che qualcuno vorrebbe una sorta di ritorno all'età della pietra non ha senso. Anche se abbandonassimo tutto quello che abbiamo costruito fino ad oggi c'è da tenere presente che la terra è cambiata e che anche le nostre esperienze si sono modificate. Per questo parlare di ritorno al passato non ha senso e quando si tira in ballo questa espressione ci si dimentica della realtà attorno a noi e del cammino che abbiamo già percorso sulla terra.
Sono d'accordo su molti punti toccati dal nostro fratello di vita Serge Latouche nei suoi libri ma credo che non sia stato sottolineato abbastanza il ruolo centrale di alcune caratteristiche che collegano tutta la nostra esistenza e dalle quali discendono tutte le problematiche che oggi dobbiamo affrontare. Si rischierebbe altrimenti di trarre nuovamente conclusioni che non tengono conto di come è fatta la terra e di come siamo noi esseri viventi che la popolano.
Come già voi sapete bene, viviamo in un mondo finito, con risorse limitate e quindi non possiamo assolutamente continuare a camminare sulla via che abbiamo intrapreso. Non servono studi scientifici per capire che insistere a depredare e inquinare il luogo che ci ospita, equivale a togliere le possibilità a chi verrà dopo di noi di avere a disposizione il necessario per vivere. Ecco quindi che per pensare assieme a come comportarci guardando con una certa lungimiranza al domani dovremmo tenere a mente alcune questioni fondamentali: viviamo sulla terra e quindi siamo tutti soggetti a delle regole che il mondo nel suo funzionamento ci impone. «Tutto è collegato» e quello che facciamo al pianeta avrà degli effetti sul nostro vivere.
Quando utilizziamo processi, tecniche e lavorazioni che non si accordano con la natura siamo di fronte all'allargamento degli effetti di quello che facciamo e delle nostre potenzialità.
Sono invece le caratteristiche - di noi esseri umani e della terra che ci ospita - che dovrebbero insegnarci ciò che si accorda con noi stessi e l'ambiente che ci circonda.
L'altra questione su cui vi chiedo di concentrarvi è la complessità, sia del mondo che di noi esseri viventi. Tutti noi esseri viventi siamo all'interno di un sistema che vive seguendo un'infinita serie di regole non scritte e che sono tra di loro connesse.
Infine: noi esseri umani non siamo assolutamente in grado di gestire la complessità e tanto meno di essere coscienti di tutte le conseguenze di quello che facciamo.
Se teniamo presenti anche solamente queste due condizioni che ci accomunano - nessuno escluso - avremo già capito le cause di quello che stiamo vivendo oggi.
Credo che non ci si sia concentrati abbastanza su questi punti fondamentali continuando ad alimentare quindi una fede nella tecnologia che possa salvarci dagli errori che abbiamo commesso e dal gettarci nuovamente in balia dei nostri stessi limiti. L'unico riparo che abbiamo per non distruggere ancora la terra è la natura e tutto quello che funziona seguendone le regole. I popoli che per centinaia d'anni hanno vissuto secondo queste leggi non scritte sono per noi esempio, la natura stessa è nostra maestra. Perché mi piacerebbe che si puntasse l'attenzione su questi punti centrali? Perché quando agiamo al di fuori di quei meccanismi a cui tutti siamo sottoposti ci troviamo in balia di una complessità di conseguenze che non sappiamo gestire e che sfuggono totalmente al nostro bassissimo e quasi inesistente controllo.
Nessuno di noi può dire di poter gestire un mondo intero anche perché solamente per tentare di portare avanti una iniziativa simile, si continuerebbero ad utilizzare gli strumenti che ci hanno messo nella condizione in cui ci troviamo oggi e che sono la fonte di tutte le distruzioni di cui ormai quotidianamente abbiamo notizia. La tecnologia che ci ha permesso di modificare la terra ad una velocità inaudita è la stessa che fa aumentare in modo esponenziale la nostra perdita di controllo e incapacità di tenerne a bada gli effetti a cascata.
Queste sono le cose che non dovremmo mai dimenticare. Serge nei suoi libri tocca diverse tematiche con cui mi trova d'accordo ma che, se non viste da una certa angolazione, potrebbero rischiare di portarci nuovamente fuori strada. Va benissimo restare sul locale, assolutamente perfetto tornare a ricreare le comunità e a ricostruire quindi i legami perduti e le culture "vicine" come fonte di vita ma tutto questo dovrebbe essere dovuto al fatto che siamo esseri viventi sulla terra e, se non ci affidiamo alle sue regole, ci perdiamo nell'immensa complessità delle conseguenze che si generano e che non siamo lontanamente in grado di concepire o tanto meno di coordinare tra loro.
La prima fonte di complessità è il luogo in cui viviamo. Questo tipo di complessità è quella che possiamo sopportare perché non è affidata alle nostre mani. La terra funziona bene quando i suoi meccanismi sono lasciati andare avanti senza gli stravolgimenti che le infliggiamo. Invece qual'è l'errore più grave che noi esseri viventi abbiamo commesso? Abbiamo creduto di poter controllare e comandare a nostro piacimento la vita su questo pianeta. In realtà, nessuno di noi esseri umani è in grado di concepire tutte le conseguenze del suo operato, soprattutto quando si utilizzano tecnologie che non sono conformi a quello che già c'è sulla sfera terrestre. Nel suo libro "La megamacchina" Serge Latouche dedica un capitolo importantissimo proprio all'aumento dei problemi dovuti al progresso tecnico. Quando si arriva alle "condizioni e ragioni della impossibilità di previsione" si tocca il punto centrale della complessità e della nostra incapacità di poterla controllare: "C'è una sproporzione fantastica tra la finitezza delle nostre capacità e la dismisura dei contesti che i responsabili e i cittadini dovrebbero poter assumere quotidianamente".
Vediamo quindi che quando agiamo al di fuori delle regole della terra, creiamo i requisiti per la sua distruzione che prima non erano possibili. Non si tratta di essere tecnofobi ma solamente di constatare che i mezzi di cui abbiamo sopra accennato, sono quelli che consentono e creano non solo lo squilibrio e le situazioni che permettono l'avviamento e la prosecuzione del processo di distruzione, ma anche l'aumento di complessità ingestibile.
Tra le altre cose, non dimentichiamoci che, anche se volessimo e riuscissimo a vivere in un mondo da noi totalmente regolato, sarebbe difficile far accettare agli esseri umani tanta responsabilità comune e una vita simile a quella delle api dove ognuno è, per forza di cose, limitato nell'agire su dei binari artificialmente (e non naturalmente) imposti.
Ecco che se teniamo conto della nostra innata incapacità di tenere a bada la complessità, date le nostre stesse caratteristiche fisiche, capiamo anche che "..è ragionevole scommettere sulla incapacità dell'organizzazione sociale di assumersi il compito di realizzare il migliore dei mondi, di spingerlo al limite e anche di farlo funzionare". Più che "ragionevole scommettere" si potrebbe dire che è naturale ammettere questa situazione viste le nostre capacità innegabilmente limitate di poter gestire e controllare la complessità.
Perché tutto questo? Perché il pianeta funziona già nel modo in cui è stato creato e allontanarcene è solo l'ennesima illusione. Continuiamo a cercare di costruire un mondo che funzioni secondo le nostre regole ma le cui basi fittizie appoggiano sul pianeta reale che è per così dire "progettato" diversamente. Sempre dallo stesso libro troviamo che:"La scienza e la tecnica non sono delle figure del Male, ma l'arroganza che minaccia lo scienziato occidentale, la sete illimitata di ricchezza e la volontà sfrenata di potenza che motivano gli sponsors e i committenti e che colonizzano la tecnoscienza sono i demoni di oggi e la fonte di tutti i pericoli". Credo che questa riflessione possa essere nuovamente fuorviante: la scienza e la tecnica, almeno per come sono oggi concepite, sono (con alcune distinzioni che non è il caso di ricordare qui) il risultato di un agire al di fuori delle regole della natura, quella natura che Serge Latouche giustamente ricorda che é e basta. Allo stesso modo tutti i nostri discorsi e le nostre teorie sul mondo rischiano di portarci nella stessa direzione seguita fino ad oggi se non ci ricordiamo che il pianeta che ci ospita è e basta e che noi siamo esseri viventi su di esso per cui dobbiamo rispettarne il funzionamento, anche a scapito delle fatiche e dei pericoli che tutto ciò comporta. Mi meravigliano le considerazioni finali del libro in cui si dice che: "..in teoria è possibile prevenire la maggior parte delle catastrofi e limitare i guasti mediante una prevenzione giudiziosa o una gestione intelligente degli incidenti", e ancora che "Resta il fatto che tutto ciò presuppone istituzioni solide e un quadro stabile; in breve un ordine sociale nazionale e internazionale ben saldo con una società civile forte". Mi stupiscono veramente queste considerazioni che sembrano deviare dalla premesse toccate quando si parla della complessità.
Se abbiamo capito che non siamo in grado di prevedere quello che accadrà quando utilizziamo i mezzi della scienza e della tecnica che ci portano lontani dalla natura e da noi stessi lasciandoci in balia di infinite conseguenze a cascata che sono indefinibili e incalcolabili, come potremmo ottenere un ordine sociale nazionale e addirittura internazionale se per raggiungerli e mantenerli dovremo alimentare quello stesso sistema che ci porta alla distruzione? Tanto per fare un esempio, riuscirebbero degli esseri umani a spostarsi abbastanza velocemente da un luogo all'altro del pianeta facendo conto solamente sulle proprie doti oppure mediante gli animali, per coordinare un qualcosa che è al di sopra delle loro capacità? La risposta è no: dovremmo altrimenti utilizzare ancora gli stessi mezzi che ci hanno portato dove siamo. Ricordiamoci che, quando per esempio si parla di megamacchina o di altri concetti, siamo sempre di fronte non alla realtà ma a modi di considerare il mondo che ci circonda. Tutti quei discorsi che ci allontanano dal capire le caratteristiche della natura in cui siamo immersi e i nostri precisi limiti, penso che ci portino ad aumentare ancora la confusione e l'incapacità di rapportarci al “tutto” che ci circonda. Quello che invece, ancora una volta, torna prepotentemente alla ribalta e che dovrebbe farci tornare con i piedi sulla terra, non sono le teorie sui modi di vivere che abbiamo costruito ma il fatto che viviamo su un pianeta che funziona seguendo leggi a cui tutti siamo sottoposti, che lo vogliamo oppure no. La complessità del mondo e la nostra incapacità di gestirla non possono far altro che aiutarci a capire che non dovremmo avere la superbia di considerarci padroni di nulla, nemmeno della nostra vita che è in mano (per chi è credente) a chi ce l'ha donata. Uno dei problemi enormi che abbiamo messo in campo sono poi il grave dilemma etico che noi stessi abbiamo creato: rinunceremmo alle tecnologie che inquinano o distruggono il pianeta e che oggi servono magari a salvare la vita di milioni di persone ma che contemporaneamente utilizzano processi che danneggiano il pianeta e quindi intaccano le possibilità esistenza delle generazioni future? In questo caso ci troviamo di fronte ad un tema cruciale. Mentre dalla notte dei tempi era il nostro patrimonio genetico e diversi fattori ambientali a decidere quanto sarebbe durata la nostra esistenza, oggi abbiamo messo in campo una serie di soluzioni che ci preservano dai pericoli creando però una molteplicità di effetti a cascata. Con quali conseguenze? Lascio a voi la riflessione tenendo conto che torniamo al punto di partenza: tutto è collegato. Ricordiamoci tra l'altro che già oggi possiamo vedere gli effetti collaterali sull'ambiente della tecnologia che utilizziamo e che costringono intere popolazioni a veri e propri esodi legati a cause ambientali.
Consiglio vivamente di leggere, per completare la riflessione, il discorso di Russell Means, tenuto nel 1980 in occasione del Black Hills International Survival Gathering nel sud Dakota, dal titolo: "Perché l'America viva l'Europa deve morire". Non è un invito allo scontro tra "nazioni", ve lo anticipo. Il discorso di Russell Means lo trovate in lingua inglese riportato sul suo sito www.russellmeans.com nella sezione "speeches" oppure in italiano sul libro "Il cerchio senza fine", di Enzo Braschi.
Un abbraccio.
Elia Frigo - Un essere vivente sulla terra.
Articolo pubblicato su www.veramente.org il 19 Maggio 2012
Lettera sulla decrescita.
Credere che la decrescita, la tecnologia o qualunque altra cosa possano salvare il pianeta significa trascurare la complessità del mondo, la natura dell'uomo e delle strutture sociali.
Ciao a tutte le persone che si sono avvicinate al movimento della decrescita o che ne hanno sentito parlare. Vorrei con questa brevissima lettera spiegare molto sinteticamente il perché – anche questo nuovo modo di pensare alla vita sul mondo – non ci salverà dal distruggere il pianeta in cui viviamo.
In questa lettera sarò “brusco” ma ciò sarà dovuto alla brevità dello spazio in cui condenserò molte riflessioni (che si potranno ampliare in altri tempi e occasioni). Quello di cui vorrei parlare sono meccanismi semplicissimi che però per essere raccontati e capiti avrebbero bisogno di un po’ di chiarimenti ma qui mi limiterò solamente ad esporli.
Noi esseri viventi sulla terra non salveremo il mondo con la decrescita per i motivi che qui di seguito vi racconterò: fate attenzione a non fraintendermi però. Non mi riferisco al fatto che non sia possibile già oggi mettere in pratica un sacco di azioni per ridurre il nostro impatto sul pianeta, mi riferisco invece all’orizzonte a cui vorremmo ipoteticamente oggi tendere parlando di decrescita e cioè la costruzione di una società ideale in cui noi faremo funzionare la terra secondo un’organizzazione che vorremmo dipendesse dalle nostre facoltà.
Queste considerazioni ovviamente valgono anche per tutte le altre ideologie/utopie che abbiamo vissuto e che oggi stiamo vivendo (come quella della crescita infinita).
Perché queste nostre idee sul mondo a lungo andare non ci salveranno dal nostro distruggerci? Per due motivi che potrebbero definirsi i pilastri della nostra esistenza.
Il primo è l’infinita complessità del mondo, del suo funzionamento, dei suoi meccanismi e la loro interdipendenza. Il secondo è che noi esseri viventi non siamo in grado di gestire questa complessità. Punto.
Un altro fattore da considerare e che in realtà è incluso nei primi due è la tecnologia: tutto quello che utilizziamo e che amplia le conseguenze degli effetti di quello che facciamo sull’ambiente, non fa altro che aumentare la complessità e la nostra perdita di controllo (accelerando inoltre la velocità dei processi in atto).
Nessuno di noi potrà mai dire di riuscire a pensare concretamente a tutto quello che accade sulla sfera terrestre e sono proprio queste condizioni (dato che viviamo tutti sullo stesso luogo che ci ospita) che dovrebbero farci capire molte cose.
Tra gli errori in cui ancora oggi spesso incappiamo, uno dei più gravi è il non riconoscere e sentire i nostri limiti. Siamo di fatto assoggettati alle leggi naturali non scritte dell’ambiente in cui viviamo. Noi esseri viventi non siamo in grado di modificare queste leggi per far funzionare la vita nel pianeta come vorremmo perché non siamo consapevoli delle infinite conseguenze a catena che ne derivano.
Se capiremo a fondo la portata di queste semplicissime leggi non scritte e terremo presenti le nostre limitazioni naturali, ci potremo rendere conto che, alla lunga, nemmeno la decrescita potrà essere la soluzione che ci salverà dal distruggere l’ambiente che ci ospita (nonostante sia comunque importante tentare di frenare l’attuale distruzione della terra).
Spero che non si considerino queste poche righe scritte come una sorta di riflessione filosofica sul mondo: le nostre parole non sono la realtà ma solo un modo per tentare di capirci. Il messaggio che ho qui cercato di far passare è che dobbiamo riportare la nostra attenzione a come funziona la terra e a come noi esseri viventi, in particolare noi esseri umani, siamo fatti.
Non si tratta di pessimismo o di visioni catastrofiste: quello che qui ho sottolineato è che dovremmo accorgerci di alcuni meccanismi e limitazioni naturali a cui nessuno di noi può sfuggire. Tutto questo dovrebbe avere conseguenze concretissime e pratiche sul nostro agire e sul nostro modo di pensare.
Non si tratta dell’ennesima visione filosofico/teorica sul mondo. Se vorrete approfondire quello che ho scritto troverete altri articoli su: www.insiemeconlaterra.org/articoli-pubblicati.html
Un abbraccio a tutti.
Elìa Frigo – Un essere vivente sulla terra
Ciao a tutte le persone che si sono avvicinate al movimento della decrescita o che ne hanno sentito parlare. Vorrei con questa brevissima lettera spiegare molto sinteticamente il perché – anche questo nuovo modo di pensare alla vita sul mondo – non ci salverà dal distruggere il pianeta in cui viviamo.
In questa lettera sarò “brusco” ma ciò sarà dovuto alla brevità dello spazio in cui condenserò molte riflessioni (che si potranno ampliare in altri tempi e occasioni). Quello di cui vorrei parlare sono meccanismi semplicissimi che però per essere raccontati e capiti avrebbero bisogno di un po’ di chiarimenti ma qui mi limiterò solamente ad esporli.
Noi esseri viventi sulla terra non salveremo il mondo con la decrescita per i motivi che qui di seguito vi racconterò: fate attenzione a non fraintendermi però. Non mi riferisco al fatto che non sia possibile già oggi mettere in pratica un sacco di azioni per ridurre il nostro impatto sul pianeta, mi riferisco invece all’orizzonte a cui vorremmo ipoteticamente oggi tendere parlando di decrescita e cioè la costruzione di una società ideale in cui noi faremo funzionare la terra secondo un’organizzazione che vorremmo dipendesse dalle nostre facoltà.
Queste considerazioni ovviamente valgono anche per tutte le altre ideologie/utopie che abbiamo vissuto e che oggi stiamo vivendo (come quella della crescita infinita).
Perché queste nostre idee sul mondo a lungo andare non ci salveranno dal nostro distruggerci? Per due motivi che potrebbero definirsi i pilastri della nostra esistenza.
Il primo è l’infinita complessità del mondo, del suo funzionamento, dei suoi meccanismi e la loro interdipendenza. Il secondo è che noi esseri viventi non siamo in grado di gestire questa complessità. Punto.
Un altro fattore da considerare e che in realtà è incluso nei primi due è la tecnologia: tutto quello che utilizziamo e che amplia le conseguenze degli effetti di quello che facciamo sull’ambiente, non fa altro che aumentare la complessità e la nostra perdita di controllo (accelerando inoltre la velocità dei processi in atto).
Nessuno di noi potrà mai dire di riuscire a pensare concretamente a tutto quello che accade sulla sfera terrestre e sono proprio queste condizioni (dato che viviamo tutti sullo stesso luogo che ci ospita) che dovrebbero farci capire molte cose.
Tra gli errori in cui ancora oggi spesso incappiamo, uno dei più gravi è il non riconoscere e sentire i nostri limiti. Siamo di fatto assoggettati alle leggi naturali non scritte dell’ambiente in cui viviamo. Noi esseri viventi non siamo in grado di modificare queste leggi per far funzionare la vita nel pianeta come vorremmo perché non siamo consapevoli delle infinite conseguenze a catena che ne derivano.
Se capiremo a fondo la portata di queste semplicissime leggi non scritte e terremo presenti le nostre limitazioni naturali, ci potremo rendere conto che, alla lunga, nemmeno la decrescita potrà essere la soluzione che ci salverà dal distruggere l’ambiente che ci ospita (nonostante sia comunque importante tentare di frenare l’attuale distruzione della terra).
Spero che non si considerino queste poche righe scritte come una sorta di riflessione filosofica sul mondo: le nostre parole non sono la realtà ma solo un modo per tentare di capirci. Il messaggio che ho qui cercato di far passare è che dobbiamo riportare la nostra attenzione a come funziona la terra e a come noi esseri viventi, in particolare noi esseri umani, siamo fatti.
Non si tratta di pessimismo o di visioni catastrofiste: quello che qui ho sottolineato è che dovremmo accorgerci di alcuni meccanismi e limitazioni naturali a cui nessuno di noi può sfuggire. Tutto questo dovrebbe avere conseguenze concretissime e pratiche sul nostro agire e sul nostro modo di pensare.
Non si tratta dell’ennesima visione filosofico/teorica sul mondo. Se vorrete approfondire quello che ho scritto troverete altri articoli su: www.insiemeconlaterra.org/articoli-pubblicati.html
Un abbraccio a tutti.
Elìa Frigo – Un essere vivente sulla terra
Articolo inviato all'Associazione Eco Filosofica - http://www.filosofiatv.org
Siamo esseri viventi sulla terra.
Un cordiale saluto a tutti gli amici dell'associazione Eco Filosofica. Vi scrivo perché vorrei analizzare insieme a voi alcuni punti fondamentali della nostra esistenza che credo non siano ancora stati compresi a fondo. Se non porremo l'attenzione su alcuni meccanismi e precise caratteristiche di noi esseri viventi e del pianeta, non potremo guardare con occhi lucidi alla direzione che come umanità abbiamo imboccato.
Per parlare della nostra vita è imprescindibile partire dall'analizzare l'ambiente che ci ospita e cioè dalla nostra casa comune: la terra. Una delle caratteristiche del nostro pianeta è sicuramente la complessità e cioè quell'insieme di leggi non scritte (che sono interdipendenti e con effetti collegati tra loro) a cui tutti siamo sottoposti e con cui interagiamo continuamente. Viviamo immersi in un sistema davvero meraviglioso e complesso che nessuno di noi può dire di conoscere realmente in tutte le sue espressioni e comunque sicuramente non nella sua totalità. Purtroppo molte discussioni sulla vita non partono da questo punto di riferimento, permettendo quindi di cadere nelle solite utopie che presuppongono indirettamente una ipotetica capacità umana di poter controllare ogni cosa. Dovremmo cercare di capire che per troppo tempo si è radicata negli esseri umani la credenza di poter modificare l'ambiente che ci ospita senza conseguenze e secondo il nostro volere: in realtà il pianeta funziona secondo regole non scritte e interdipendenti tra loro che non tengono conto della nostra volontà, ci sono e basta. Credere di poter cambiare il tutto secondo i nostri desideri è l'ennesima favola. Dovremmo imparare ad accettare il fatto che siamo esseri viventi sulla terra capendo che noi ne facciamo parte. Ribadisco: uno dei punti centrali della nostra esistenza è che viviamo in un sistema enormemente complesso.
Qual'è il nostro rapporto con la complessità e in particolare con quella dell'ambiente in cui abitiamo? Umanamente parlando non esiste persona che possa dire di poter controllare o saper gestire la complessità del nostro pianeta. All'aumentare delle difficoltà e degli effetti delle nostre azioni la risposta che ne deriva è la perdita di controllo e contemporaneamente si innesca in noi un meccanismo di autodifesa mentale che tende a categorizzare, sintetizzare e semplificare, altrimenti avremmo troppe cose di cui occuparci o meglio, di cui preoccuparci. A questo punto prendiamo in considerazione un altro fattore molto importante che è strettamente collegato con l'aumento della complessità e in particolare della complessità che noi dovremmo, e ribadisco, dovremmo, saper gestire: la tecnologia. Con la diffusione sempre più massiccia della tecnologia è aumentata esponenzialmente sia la portata degli effetti delle nostre azioni e, contemporaneamente, anche la perdita di controllo su quello che facciamo.
Riassumendo: è veramente importante capire il legame tra la complessità del mondo, le caratteristiche di noi esseri viventi e del pianeta che ci ospita, e infine la tecnologia: da questo legame dipende praticamente tutta la nostra esistenza.
Noi esseri umani abbiamo tentato in tutti i modi di utilizzare strumenti costruiti da noi che non erano per così dire inseriti nel "naturale" funzionamento della terra, in modo da rendere la nostra vita sempre meno soggetta a pericoli, fatiche e fatalità avverse che potessero porsi sul nostro cammino. In questa lunga fase di costruzione di un mondo che non seguisse più la natura ma che fosse modellato secondo la nostra volontà, siamo incappati in tutta quella serie di problemi che oggi sono sempre più evidenti in quanto il nostro stile di vita per così dire "artificiale", poggia chiaramente le sue basi su un pianeta che funziona seguendo leggi immutate.
Qual'è dunque uno degli inganni che continuiamo a raccontarci? La nostra fede nella scienza e nella tecnologia come dei talismani che potranno risolvere tutti i nostri problemi. Credo che questa sia solo l'ennesima chimera. La tecnologia non fa altro che aumentare la complessità degli effetti delle nostre azioni che non siamo umanamente in grado di gestire e che producono conseguenze a cascata che poi non sappiamo controllare.
E' davvero importante essere consapevoli delle peculiarità degli strumenti che utilizziamo per cercare di risolvere i problemi che ci troviamo di fronte. Con questa riflessione non è mia intenzione dire di abbandonare tutto quanto e di tornare a vivere nelle caverne come i nostri antenati: tutto ciò non sarebbe più possibile (in quanto abbiamo modificato profondamente e su larga scala la terra) e allo stesso tempo non sarebbe a mio avviso una scelta eticamente accettabile (in quanto quasi tutti oggi dipendiamo proprio da quella tecnologia che ci ha portato nella condizione attuale).
Non si tratta quindi di essere tecnofobi ma di essere consapevoli dei limiti e delle caratteristiche intrinseche dei mezzi che utilizziamo per cercare di raggiungere i nostri scopi: limiti dell'ambiente che ci ospita, di noi esseri umani e del rapporto tra gli strumenti che utilizziamo e le nostre capacità. Nessuno di noi conosce quale sarà il nostro futuro ma certamente tutti possiamo comprendere che viviamo in un mondo dove tutto è collegato e che siamo e saremo sempre più dipendenti gli uni dagli altri.
Conoscendo la tecnologia, la complessità del pianeta e la nostra quasi assente capacità di controllo sugli effetti delle nostre azioni, dovremmo cercare di utilizzare strumenti che siano il più possibile semplici (tutto il contrario, per fare un esempio lampante, delle centrali nucleari) sia nel loro processo di creazione che di gestione.
Penso che l'atteggiamento che ci dovrebbe guidare è la solidarietà, in quanto larga parte degli effetti che le popolazioni povere sono oggi costrette a subire sono il frutto del processo di "sviluppo" dei paesi ricchi e anche il frutto di tecnologie che per essere alimentate devono andare a pescare le materie prime dove sono presenti. Si dovrebbe quindi attuare un'economia della solidarietà su scala mondiale per proteggerci a lungo andare dagli effetti delle conseguenze del nostro operato.
Arrivati a questo punto ecco una domanda importante: saremo capaci di pensare globalmente e agire localmente (un motto che comincia ad essere sempre più diffuso) proprio per evitare gli effetti nefasti dello sviluppo e diffusione incontrollata della tecnologia? Se saremo coscienti della complessità, della perdita di controllo sulle nostre azioni e dei limiti delle capacità umane forse si.
Da queste riflessioni e legami tra complessità, tecnologia, caratteristiche della terra e di noi esseri umani dovrebbero nascere delle politiche/azioni globali che possano rispondere alle grandi emergenze del presente e del futuro e tradursi immediatamente in azioni concrete perché siamo già in forte ritardo.
Solo con politiche condivise a livello mondiale si potrà cercare di limitare gli effetti nefasti della nostra perdita di controllo sulla tecnologia che, al contrario degli attuali stati, non ha confini che la ingabbiano (si potrebbe fare il paragone con le devastazioni causate dalle multinazionali che non possono essere controllate visto che gli stati hanno sovranità limitata ai propri confini). Ovviamente anche in questo caso saremo soggetti ad altri tipi di pericoli ma, arrivati in questa condizione, sono rischi che credo dovremo per forza correre visto le sfide che dovremo inevitabilmente affrontare.
Mi auguro che anche i capi delle nazioni possano rendersi conto di tutto ciò e che sappiano guardare lontano con una forte dose di umiltà. Resta valido il fatto che ognuno di noi deve fare la sua parte e acquisire consapevolezza che non si può già da molto tempo pensare solo al proprio orticello.
Elìa Frigo
Un essere vivente sulla terra.
Siamo esseri viventi sulla terra.
Un cordiale saluto a tutti gli amici dell'associazione Eco Filosofica. Vi scrivo perché vorrei analizzare insieme a voi alcuni punti fondamentali della nostra esistenza che credo non siano ancora stati compresi a fondo. Se non porremo l'attenzione su alcuni meccanismi e precise caratteristiche di noi esseri viventi e del pianeta, non potremo guardare con occhi lucidi alla direzione che come umanità abbiamo imboccato.
Per parlare della nostra vita è imprescindibile partire dall'analizzare l'ambiente che ci ospita e cioè dalla nostra casa comune: la terra. Una delle caratteristiche del nostro pianeta è sicuramente la complessità e cioè quell'insieme di leggi non scritte (che sono interdipendenti e con effetti collegati tra loro) a cui tutti siamo sottoposti e con cui interagiamo continuamente. Viviamo immersi in un sistema davvero meraviglioso e complesso che nessuno di noi può dire di conoscere realmente in tutte le sue espressioni e comunque sicuramente non nella sua totalità. Purtroppo molte discussioni sulla vita non partono da questo punto di riferimento, permettendo quindi di cadere nelle solite utopie che presuppongono indirettamente una ipotetica capacità umana di poter controllare ogni cosa. Dovremmo cercare di capire che per troppo tempo si è radicata negli esseri umani la credenza di poter modificare l'ambiente che ci ospita senza conseguenze e secondo il nostro volere: in realtà il pianeta funziona secondo regole non scritte e interdipendenti tra loro che non tengono conto della nostra volontà, ci sono e basta. Credere di poter cambiare il tutto secondo i nostri desideri è l'ennesima favola. Dovremmo imparare ad accettare il fatto che siamo esseri viventi sulla terra capendo che noi ne facciamo parte. Ribadisco: uno dei punti centrali della nostra esistenza è che viviamo in un sistema enormemente complesso.
Qual'è il nostro rapporto con la complessità e in particolare con quella dell'ambiente in cui abitiamo? Umanamente parlando non esiste persona che possa dire di poter controllare o saper gestire la complessità del nostro pianeta. All'aumentare delle difficoltà e degli effetti delle nostre azioni la risposta che ne deriva è la perdita di controllo e contemporaneamente si innesca in noi un meccanismo di autodifesa mentale che tende a categorizzare, sintetizzare e semplificare, altrimenti avremmo troppe cose di cui occuparci o meglio, di cui preoccuparci. A questo punto prendiamo in considerazione un altro fattore molto importante che è strettamente collegato con l'aumento della complessità e in particolare della complessità che noi dovremmo, e ribadisco, dovremmo, saper gestire: la tecnologia. Con la diffusione sempre più massiccia della tecnologia è aumentata esponenzialmente sia la portata degli effetti delle nostre azioni e, contemporaneamente, anche la perdita di controllo su quello che facciamo.
Riassumendo: è veramente importante capire il legame tra la complessità del mondo, le caratteristiche di noi esseri viventi e del pianeta che ci ospita, e infine la tecnologia: da questo legame dipende praticamente tutta la nostra esistenza.
Noi esseri umani abbiamo tentato in tutti i modi di utilizzare strumenti costruiti da noi che non erano per così dire inseriti nel "naturale" funzionamento della terra, in modo da rendere la nostra vita sempre meno soggetta a pericoli, fatiche e fatalità avverse che potessero porsi sul nostro cammino. In questa lunga fase di costruzione di un mondo che non seguisse più la natura ma che fosse modellato secondo la nostra volontà, siamo incappati in tutta quella serie di problemi che oggi sono sempre più evidenti in quanto il nostro stile di vita per così dire "artificiale", poggia chiaramente le sue basi su un pianeta che funziona seguendo leggi immutate.
Qual'è dunque uno degli inganni che continuiamo a raccontarci? La nostra fede nella scienza e nella tecnologia come dei talismani che potranno risolvere tutti i nostri problemi. Credo che questa sia solo l'ennesima chimera. La tecnologia non fa altro che aumentare la complessità degli effetti delle nostre azioni che non siamo umanamente in grado di gestire e che producono conseguenze a cascata che poi non sappiamo controllare.
E' davvero importante essere consapevoli delle peculiarità degli strumenti che utilizziamo per cercare di risolvere i problemi che ci troviamo di fronte. Con questa riflessione non è mia intenzione dire di abbandonare tutto quanto e di tornare a vivere nelle caverne come i nostri antenati: tutto ciò non sarebbe più possibile (in quanto abbiamo modificato profondamente e su larga scala la terra) e allo stesso tempo non sarebbe a mio avviso una scelta eticamente accettabile (in quanto quasi tutti oggi dipendiamo proprio da quella tecnologia che ci ha portato nella condizione attuale).
Non si tratta quindi di essere tecnofobi ma di essere consapevoli dei limiti e delle caratteristiche intrinseche dei mezzi che utilizziamo per cercare di raggiungere i nostri scopi: limiti dell'ambiente che ci ospita, di noi esseri umani e del rapporto tra gli strumenti che utilizziamo e le nostre capacità. Nessuno di noi conosce quale sarà il nostro futuro ma certamente tutti possiamo comprendere che viviamo in un mondo dove tutto è collegato e che siamo e saremo sempre più dipendenti gli uni dagli altri.
Conoscendo la tecnologia, la complessità del pianeta e la nostra quasi assente capacità di controllo sugli effetti delle nostre azioni, dovremmo cercare di utilizzare strumenti che siano il più possibile semplici (tutto il contrario, per fare un esempio lampante, delle centrali nucleari) sia nel loro processo di creazione che di gestione.
Penso che l'atteggiamento che ci dovrebbe guidare è la solidarietà, in quanto larga parte degli effetti che le popolazioni povere sono oggi costrette a subire sono il frutto del processo di "sviluppo" dei paesi ricchi e anche il frutto di tecnologie che per essere alimentate devono andare a pescare le materie prime dove sono presenti. Si dovrebbe quindi attuare un'economia della solidarietà su scala mondiale per proteggerci a lungo andare dagli effetti delle conseguenze del nostro operato.
Arrivati a questo punto ecco una domanda importante: saremo capaci di pensare globalmente e agire localmente (un motto che comincia ad essere sempre più diffuso) proprio per evitare gli effetti nefasti dello sviluppo e diffusione incontrollata della tecnologia? Se saremo coscienti della complessità, della perdita di controllo sulle nostre azioni e dei limiti delle capacità umane forse si.
Da queste riflessioni e legami tra complessità, tecnologia, caratteristiche della terra e di noi esseri umani dovrebbero nascere delle politiche/azioni globali che possano rispondere alle grandi emergenze del presente e del futuro e tradursi immediatamente in azioni concrete perché siamo già in forte ritardo.
Solo con politiche condivise a livello mondiale si potrà cercare di limitare gli effetti nefasti della nostra perdita di controllo sulla tecnologia che, al contrario degli attuali stati, non ha confini che la ingabbiano (si potrebbe fare il paragone con le devastazioni causate dalle multinazionali che non possono essere controllate visto che gli stati hanno sovranità limitata ai propri confini). Ovviamente anche in questo caso saremo soggetti ad altri tipi di pericoli ma, arrivati in questa condizione, sono rischi che credo dovremo per forza correre visto le sfide che dovremo inevitabilmente affrontare.
Mi auguro che anche i capi delle nazioni possano rendersi conto di tutto ciò e che sappiano guardare lontano con una forte dose di umiltà. Resta valido il fatto che ognuno di noi deve fare la sua parte e acquisire consapevolezza che non si può già da molto tempo pensare solo al proprio orticello.
Elìa Frigo
Un essere vivente sulla terra.
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.